"Si sta
come d'autunno
sugli alberi
le foglie"
- "Soldati", Ungaretti -
Una poesia semplice, breve, diretta, probabilmente troppo famosa, ma assolutamente profonda.
Di quella profondità abissale che ti colpisce dentro, attizzando le fiamme interiori, facendo vibrare ancor più forte l'animo tormentato.
Ogni autunno la ripropongo, quasi come un rituale, come se il correre delle stagioni non facesse altro che riportarmi lì... a fare il punto della situazione, rendendomi conto di essere costantemente là , in quella condizione di dolorosa immobilità, simbolo di una triste sorte gia' scritta, quella delle persone destinate a soffrire silenziosamente, mentre tutto il mondo si muove attorno.
Parlare di fato è sicuramente sbagliato, in effetti forse sarebbe meglio dire “carattere alquanto sensibile”, alcuni definirebbero tale situazione in gergo medico con il termine “malattia”, altri come mancanza di volontà, altri ancora come “periodo difficile che presto finirà”.
Non so' dare un nome alla mia condizione, sono certa che essa va ben oltre l'anoressia e la depressione, mostri che mi hanno divorato da tre anni ad oggi. E va pure al di là di un episodio sporadico,di un evento accaduto. Ne sono sicura perchè fin da piccola ricordo la malinconia che mi attanagliava lungo al petto, allo stomaco, alla testa.
Senza motivo mi sono sentita spesso triste, vuota e nella mia ingenuità credevo di avere l'influenza.
Mi sento morbosamente dentro alle parole di Ungaretti, come mi ci sentivo quindici anni fa, leggendo la poesia ad alta voce dinanzi alla maestra.
Foto scattata durante le mie passeggiate nel bosco |
Mi sento la foglia destinata a morire dinanzi al prossimo soffio di vento.
Dentro quella precarietà e fatalità che egli precisamente descrive.
Piena di instabilità e con un'unica certezza, quella della morte.
Sola come quella foglia in giardino che si tiene attaccata all'albero con i denti, ma consapevole che presto dovrà mollare la presa, perchè è stanca e non più così giovane.
Tutti soffriamo nel mondo, ognuno ha i suoi tarli, i suoi segreti, le sue ferite, è vero.
E' giusto che ne abbia anch'io direte voi. Sono d'accordo.
Ma quello che mi spaventa di tutto ciò non è il dolore in sé per sé.
E' il tempo che passa mentre il dolore continua, ininterrottamente, senza mai fermarsi.
Senza aver mai capito da dove esso sia iniziato e talmente intrinseco da non mollarmi mai.
La paura di passare una vita, lunga o corta che sia, sempre con un macigno sul cuore e non trovare mai realmente la pace è una delle peggiori condanne che possano esistere, secondo me.
Perchè non è vita, è prigionia.
(… Sono stata io stessa a condannarmi?)
E vorrei andare da mia mamma, dirle che sto' finalmente bene, che la tempesta infinita è passata, che adesso sebbene sia autunno c'è il sole e ci sarà per un po' perchè ho la forza di affrontare tutto, di non accasciarmi alla prima ventata.
Vorrei dirle che sono una foglia, ma di quelle sempreverdi, dure e resistenti e che se ci sarà un temporale mi bagnerò, ma poi tornerò a splendere, come fanno gli altri attorno a me.
Vorrei vederla sorridere, anche in mezzo ai problemi di mio fratello, sorridere di gusto, dimenticando per un attimo le sfide quotidiane da combattere, contenta di non dover tener la mano ad entrambi.
Vorrei poter essere per lei un punto di riferimento e non un punto fermo.
Non esistono giorni in cui io stia davvero bene. (e' proprio questo che mi fa paura!)
Se l'ho detto è perchè fingo, al fine di non essere noiosa e ripetitiva.
Senza dubbio ci sono giorni migliori e peggiori, ma ogni volta c'è sempre qualcosa che manca, e non so' spiegarlo.Una fame interiore che non si colma con il semplice cibo, con un regalo, con un viaggio, con una frase di coraggio, con un'abbraccio delle persone care.
Un saluto a tutti!
Ilaria
Ps. per sbaglio, con il cellulare ho eliminato il post, fortunatamente (o sfortunatamente per voi) lo avevo salvato su word! Quindi lo riposto adesso.