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...Sono una bambina capricciosa e sognatrice,
una ragazza complicata e lunatica,
una donna che sta' nascendo e si fa forza per affrontare il peso della vita.


giovedì 10 dicembre 2015

Ciao nonno.

"Ciao nonno.
Te ne sei andato stamattina eppure mi manchi gia'.
Sei la prima persona a me veramente cara ad andarsene, il primo vero lutto familiare...
E' qualcosa di terribilmente nuovo al quale non avrei voluto arrivare, pur sapendo che sarebbe stato inevitabile.

Mi sembra tutto così strano, così impossibile...
Eppure è vero, te ne sei andato dopo settimane di inutile sofferenza.
E alla fine è stato meglio così, lo ammetto...
… Però è difficile accettarlo, accettare il “vuoto” materiale che lasci, il silenzio agghiacciante, la camera spoglia.
Avrei bisogno di urlare, di urlare alla vita e dirle che fa schifo,che è ingiusta, che non ero pronta ad altrettanta sofferenza, ad altrettante lacrime perchè mi sembrava di aver gia' barcollato tanto in questi ultimi anni...
Ma devo accettare l'ennesimo dolore e dimostrare che non sono poi così debole come sembro...
Spero che sarai orgoglioso di me...
Ti voglio tanto bene nonno."

Queste sono le prime parole che mi sono balzate al cervello dopo qualche ora di stallo, di riconnessione con il mondo intero per testare se fosse realtà, se la telefonata di mio padre, mentre ero gia' a lavoro fosse vera.
Ieri ho scritto queste righe con la voglia di comunicare al mondo intero il mio dolore, di strillare più forte che potessi...
Ho scritto su facebook per condividere il terrore e il vuoto che mi logoravano (logorano ancora adesso), per rendere partecipe persone assenti da tempo dalla mia vita e che non sapevo come contattare. Molti di voi saranno contrari a questo tipo di sbandieramento del dolore, storcerete il naso probabilmente...
Avevo tanto bisogno di non sentirmi dannatamente sola  ancora una volta, mentre trascorrevo il pomeriggio con mio fratello con la febbre alta e i miei genitori a vegliare su mio nonno... E' stata un'azione istintiva.... e pur una volta ho deciso di far prevalere l'istinto sulla razionalità.

Domenica abbiamo portato nonno in ospedale a causa del colore blu scuro/nero alle articolazioni, sintomo gia' palese di una circolazione sanguina allo stremo.
Stava gia' molto male da due mesi, da quando fu colpito da una serie di ictus celebrali.
Lo avevamo messo accanto a mia nonna, sua moglie ancora in vita, se si può chiamare “vita” quella di un vegetale.

Nonostante i danni articolari-ossei-muscolari nonno era ancora vigile, riusciva a comprendere benissimo la sua condizione e i relativi problemi che ne derivavano.
Voleva morire, sapeva che sarebbe morto presto, aveva paura... ma voleva farlo. Lo ha detto più volte, a voce bassa e tremante.
Sapevamo che sarebbe finita presto, ci avevano avvisato. Io ero pronta, pronta di ricevere la telefonata tanto temuta, ed aggiungo pure speranzosa di metter fine alla sua sofferenza. Ero preparata all'idea... però dall'ideale al reale ci passa un oceano in mezzo...
Ed ecco che ogni mia fermezza, ogni pensiero logico e non egoista vengono spazzati via in un attimo...
Il cuore batte forte e le lacrime rigano il viso .. tento di nasconderlo, ma è impossibile. La gente per strada mi guarda strana, io continuo a correre...
Una corsa invana, diversa dalle solite corse utili a scaricare il nervosismo e lo stress...

(...)

Vederlo steso su una cassa di legno, immobile mi ha scioccato per qualche minuto.
Ho stretto la sua mano fredda, ho accarezzato il suo viso stanco e provato dagli ictus...

Eppure è tanto bello. Nonostante la morte lui è bello.
E' Bello nel suo corpo alto e slanciato, nella sua giacca blu scura, nella cravatta a pois...
E' giovanile ed elegante come è sempre stato: nel vestirsi, nel rapportarsi con gli altri.
Un nonno novantenne ma così moderno nel suo modo di pensare... senza pregiudizi, senza quella mentalità antica che di solito appartiene alla sua generazione.
Un uomo semplice, ma con un gran cervello. Aperto alla tecnologia, al divertimento.
Appassionato di libri, del gioco d'azzardo e dello sport.
Un contadino di olive, vigneti, ciliege, noci...
Un bevitore di vino, ma non un gran mangione, un amante della forma fisica giusta.
Un combattente della seconda guerra mondiale. Un deportato in un campo di concentramento Tedesco. Una delle ultime testimonianze di quella terribile tragedia.

E' questo e molto altro.
E lo sarà per sempre, oltre la materialità della Vita, voglio convincermi che lui sia ancora qui con noi, accanto alle nostre figure, alle nostre sensazioni, alle nostre menti.
Voglio sperare che sia davvero così....

Lo immagino felice adesso. Seduto su un tavolino a giocare a carte, un bicchiere del suo buon vino accanto e il derby in sottofondo... O magari con il canestro (cestino in dialetto) a cogliere le ciliege per poi portarmele....

Guardo il cielo scuro della notte...
C'è una stella in più stasera, quant'è luminosa...
Eccola... è proprio lui... 
... Nonno!!!





...TI VOGLIO BENE NONNO...
PER SEMPRE!!!







lunedì 23 novembre 2015

I'll face myself.

"...So let mercy come
And wash away
What I’ve done
I'll face myself
To cross out what I’ve become
Erase myself
And let go of what I’ve done
For what I’ve done

I start again
And whatever pain may come
Today this ends
I’m forgiving what I’ve done..." 

Le frasi che ho scritto provengono dalla canzone "What I've done" dei Linkin Park.
Una melodia abbastanza aggressiva che ha sempre rappresentato al meglio i miei momenti di forte insoddisfazione, di collera ma anche di forza di reazione.

Sono arrabbiata dentro... di quella rabbia profonda, lacerante, istintiva. 
Essa mi pervade in tutto il corpo, da capo a piedi.
Avrei bisogno di urlare, di correre forte, di tirare pugni ad un sacco da boxe, che non ho.

Sono arrabbiata della mia sottospecie di vita, quella che io stessa mi sono abilmente creata piano piano.

Odio quello che sono diventata, perchè non avrei mai pensato di ritrovarmi in tali condizioni e mai lo avrei voluto.
Sono delusa di tutta l'apatia che ho addosso, della tristezza che mi logora, della collera che prende il sopravvento e mi mangia piano piano.
Sono stanca di tutte le paure, delle insicurezze, delle camminate veloci tra le vie della città per sentirmi più leggera. 
Sono stanca di avere una malattia, di ripetermelo ogni giorno, di aver bisogno di aiuto, di dover passare il venerdì sera in fila dal dottore per farmi le analisi, di ritornare in ospedale, di ingrassare senza motivo, di mangiare troppo o troppo poco, di guardarmi allo specchio e avere gli occhi lucidi, le mani tremolanti per l'enorme vuoto che vedo riflesso.

E vi dirò di più, sarà paradossale vi avverto, ma quello che vedo è un VUOTO PESANTE.


Ed io sono un vuoto, estremamente pesante.


La pesantezza della mia vita e di come io affronti ogni ostacolo dinanzi a me.

Il vuoto delle cose belle, un cuore che non sa' più cosa significhi amare.


Ogni settimana succede sempre qualcosa di nuovo, e per il 90% si tratta di cose negative.

Ed io tutte queste negatività non le affronto, le ingoio senza digerirle mai.

In sostanza sono un vaso pieno che ogni tanto trabocca.
Ho sempre fatto così: prendo dolore e lo covo con la speranza che sparisca, acquisto paure pregando che scivolino via trasformandosi in coraggio, nascondo rabbia e nervoso sperando che non ritornino più...
Accumulo e poi sfocio come un fiume in piena.

Sbaglio.

...

Al lavoro non va poi così male, faccio ciò che mi viene chiesto,con qualche errore contabile o scavolando i nomi dei clienti che chiamano o arrivano in studio.
Ma tutto sommato procedo in avanti.
La pecca è sempre la pausa troppo lunga che non posso diminuire, dove i pensieri, la solitudine e la frenesia mi stringono verso sè... cammino, come se camminare senza una vera direzione potesse farmi sfuggire da me stessa.

La mia salute è nuovamente in bilico, in modo diverso, ma gli esami del sangue che ho fatto ultimamente non sono ottimi.
Li ho fatti perchè erano mesi che rimandavo, e sopratutto perchè la scorsa settimana mi erano comparsi 5 o 6 lividi sulle cosce (oggi assai diminuiti), indolori, senza alcun precedente trauma.
Ho il ferro bassissimo, così come le piastrine e i globuli bianchi, ai limite dei parametri normali. A questi si aggiungono valori legati alla coagulazione del sangue troppo alti.
Settimana prossima andrò dal medico di condotta per sentire le sue impressioni, ma credo che comincerò di nuovo con visite e/o medicine. Mi mancavano.

In settimana è morta (respirava male e il veterinario ha deciso giustamente, dopo giorni di agonia, di sopprimerla con la puntura) la cagnolina di 16 anni di un vecchio amico di mio nonno, a cui prestavo attenzioni, portandola sempre fuori una ventina di minuti al giorno, le davo da mangiare e la coccolavo un po'. In pratica facevo la "dog sitter", come si suol chiamare oggi.
L'ho salutata con un "ti voglio bene" sussurato all'orecchio e le lacrime in viso.
E' un ennesima mancanza che non meritavo, un ennesimo vuoto dentro che sapevo sarebbe dovuto accadere prima o poi, ma adesso non era proprio il momento.

Ieri mio padre è caduto da una scala di legno, si è spezzata in due a tre metri di altezza mentre raccoglieva dei frutti da un albero. 
Ho passato pomeriggio e tarda sera al pronto soccorso con l'ansia alle stelle e la paura.
Nell'attesa in solitudine (mia mamma era ad assistere i miei nonni perchè la badante aveva giornata di riposo) ho provato tanta vergogna per me stessa, ho pensato a tutti quei momenti sprecati, alle urla, alle brutte parole che io e lui ci siamo rivolti in questi anni, ai kg che lui ha perso e al suo viso affossato per la tristezza che gli ho provocato.
Ho pensato ai bei gesti di affetto che lui mi faceva (e mi fa) senza che io ne dessi davvero importanza, ho riflettuto sul suo strano modo di mostrarmi amore e di quanto io, spesso, non riesca a dimostrarglielo.
Ho sinceramente avuto paura di perderlo, di perdere quello che è stato e di ritrovarmi un padre diverso, ferito, ammaccato, con danni permanenti.

Ed proprio vero: è quando stai per perdere una cosa che ti accorgi che vale.

Ed io, nella più pessimistica delle convinzioni, ho creduto di pentirmi amaramente del tempo perso, delle parole non dette, dei gesti non ricambiati e della gratitudine mancata.

...

Fortunatamente babbo sta bene, ha fatto radiografie in tutto il corpo ed una tac alla testa. Tutte con esito negativo riguardo a rotture o danni.

Un ennesimo evento spiacevole che sta aiutando però ad aprire maggiormente gli occhi, ad osservare bene quello che ho attorno, soppesando di più le persone e lasciando da parte le enormi superficialità che mi divorano costantemente.

Sono arrabbiata e stanca, ma ho anche la forza per reagire, per riuscire a perdonarmi, ad accettare i miei errori e i miei difetti.
Se accettarsi significa vivere meglio, in armonia e apprezzare gli altri allora devo provarci. 
Almeno per i miei genitori.

Non posso morire senza ringraziarli, non posso continuare con le mie ossessioni mentre loro invecchiano ed ogni giorno che passa si allontanano da me.
Devo tentare, ancora una volta, di imboccare quella via luminosa di fronte a me, lasciare andare quello che ho fatto e ripartire.













sabato 7 novembre 2015

Sento tutto e non mi sento.

Novembre.


...
un nuovo mese mentre sta per concludersi un anno, uno di quelli indimenticabili, per tutto il male sopportato e per quel poco di bene vissuto.

Novembre mi ha sempre lasciata perplessa a dir la verità. E' sempre stato un mese subdolo, uno di quelli che non è nè carne nè pesce, dove è autunno inoltrato ma non è ancora inverno, dove c'è il sole che splende ma le foglie sono quasi tutte cadute, dove piove forte ed improvvisamente e i campi sono fradici ma non c'è ancora quel clima così gelido.  E dove sta per finire l'anno ma non è ancora tempo per festeggiare.

...Quello che c'è intorno a me...

Lo ritengo il mese dei resoconti annuali,  in cui apro gli occhi impaurita: sono gia' passati ben 304 giorni da quando ho stappato quella bottiglia di spumante brindando e inviando auguri a tutti. 

Ne sono trascorse assai di ore.
Brutte, belle, vuote, piene, rumorose, silenziose, tragiche, gioiose, fredde, calde, angoscianti, serene.

Cammino per l'ennesima volta tra i miei adorati campi, fra l'erba ingiallita e quella che spunta rigogliosa per effetto delle precedenti piogge. 
Le foglie secche sotto ai miei piedi gracchiano, stridono come se fossero lamenti di persone, richieste di aiuto, urla di disperazione. 
Il sole tiepido mi illumina i capelli e il viso bianco, affossato, testimone delle battaglie che ho combattuto e delle lacrime versate.
Un uccellino si ferma su un ramo di un albero poco più avanti a me, forse alla ricerca di qualcosa da mangiare, forse per riprendere fiato dal suo volo o forse in attesa degli amici. 
Sembra guardarmi senza paura... ma poi scappa velocemente non appena mi avvicino.

Sono di nuovo sola in mare di fiori, alberi, arbusti... sopra un cielo limpido e azzurro, tanto profondo e inarrivabile.

Ed io continuo a camminare, sotto e dentro questa immensità, silenziosamente, godendomi il venticello fresco, gli odori attorno e ogni colore. 
Voglio stare qui per sempre, voglio starmene in silenzio e saper ascoltare tutto, voglio la pace che solo così riesco ad ottenere.

...


Queste parole le avevo scritte qualche giorno fa, seduta su una panchina durante la pausa pranzo, a seguito di un'intensa passeggiata tra le strade deserte e sterrate nei campi di una piccola cittadina, mentre mangiavo un'insalata gia' pronta del supermercato.

In queste due settimane ho cambiato la mia routine giornaliera ed è scontato dirvi che mi sento strana.
Ho bisogno di adattarmi a certi orari, ad alcuni ritmi, a vivere una vita pressocché normale, ma che non ho vissuto in questi ultimi anni.
Ho bisogno di trovare il bello e la leggerezza della normalità, ancora troppo distante da quello a cui sono abituata... a vedere, sentire, pensare.

Mi sembra tutto esageratamente strano.
Ed io cerco affannosamente di assomigliare agli altri, di adagiarmi alla quotidianità del mondo.
Ma dopo alcuni passi avanti rientrano in me quelle stupide sensazioni, quelle malsane idee e le errate convinzioni.

Mi sento un cane rinchiuso in gabbia, un pesce dolorante che si fa trascinare dalla corrente, un uccellino con le ali ferite da troppo tempo, incapace di volare.

Non riesco a trovare un equilibrio SANO, in ogni cosa.
Tendo ad estraniarmi troppo, a premiarmi troppo poco, ad odiarmi tanto, a divertimi pochissimo, a riempirmi di doveri, a svuotarmi dei piaceri della vita, a correre ansiosamente senza fermarmi mai.

A livello alimentare sono caduta nel caos più totale.
Faccio una normale colazione la mattina, salto il pranzo e ogni possibile spuntino (al massimo l'insalata della coop, o una mela con un cappuccino) passeggiando ogni giorno in pausa per km... per poi esagerare a cena, tra pane, carni/uova, verdure e dolce (ceno tra 21 e le 22), dopo la palestra, crollando clamorosamente a letto dopo un'ora.

In pratica quasi tutte le mie calorie quotidiane le assumo nel momento in cui non mi servono...
Quanto ne sono consapevole. Eppure dopo tanta consapevolezza non mi smuovo di un millimetro.

Tutto o niente: questo è il mio atteggiamento di fronte al cambiamento.

Il niente per l'aver "solo" lavorato ed inconsapevolmente aver bruciato poche calorie.
Il tutto per essersi allenata ed essersi quindi meritata di mangiare come si deve.
Puntualizzo che in tutto questo casino non ho preso neanche un etto.  Peso un kg in più la mattina per ritornare alla stessa cifra prima di cenare.
Paradossalmente il tutto e il niente creano equilibrio.


Con le colleghe parlo abbastanza tranquillamente, sono tutte persone giovanili (nonostante le età differenti), abbiamo anche cenato assieme una sera. Abbiamo riso e scherzato, affrontando tematiche culturali estremamente "terra, terra" come si dice dalle mie parti, insomma... una classica leggerezza che non mi appartiene, ma che ogni tanto fa bene.
Eppure non credo siano persone di cui potersi fidare. Troppi sorrisetti falsi e chiacchere di troppo mi tengono distante e protettiva verso la mia vita.
Una di loro, durante la cena (nonostante mi fossi presa un bel dolce al cioccolato) ha detto che "sono secca come un'anoressica". 

Se da una parte tale frase mi ha freddato, dall'altra quello che ne è un uscito è uno sciocco e lieve sorriso, quasi come una negazione del mio passato (e aihmè del mio presente), conferma della superficialità moderna e dell'ignoranza altrui.
Perchè per la società odierna (tanto evoluta tecnologicamente ma retrocessa nel cervello) magrezza sta sempre a significare anoressia, quanto invece potrebbe voler dire tante altre cose:
Allenamenti mirati in palestra (come ho iniziato a fare io con il personal trainer per mettere su massa muscolare!), atleti di ogni tipo, malattie di altro genere e gravità, semplice costituzione.

Confesso che mi sarebbe piaciuto risponderle con fierezza: "Ma io sono anoressica... sai? E se adesso ti sembro tanto magra, pensa che poco più di un anno fa pesavo ben 11 kg in meno!"

Tuttavia è meglio tacere e non abbassarsi alla ignoranza generale, onde evitare che la nostra mente possa essere contaminata da emerite cazzate come questa.
Mi sento tanto più intelligente, è vero.
Mi sento più intelligente di molti altri, malgrado le mie giornate a patire la fame, a contare le calorie, a guardarsi allo specchio, a piangere per quel kg in più o a camminare furiosamente per bruciare energie.

Un ennesimo paradosso.

L'ambiente lavorativo è pieno di fogli ovunque, l'ufficio straborda di fascioli, archivi ed inserti, anche sotto alle scrivanie. Il clima che ne traspare è di forte insoddisfazione e di troppo ritardo.
Il "capo" è un uomo sulla quarantina, ottimo professionalmente, ha tanti clienti ed è associato ad un altro studio di una città vicina, con cui lavoriamo assieme mediante il server aziendale. Ma umanamente vale meno di zero.
Ed è probabilmente ciò la causa di molte dimissioni o licenziamenti. Proprio venerdì scorso ha licenziato una signora ed è adesso il carico di lavoro è aumentato per le altre.
Non mi ha nemmeno chiesto le prime impressioni, si degna a malapena di salutarmi o di dirmi l'elenco di chiamate da fare per lui, o viceversa, quali passargli e quali no.
Ma vabbè.
In sei mesi qualcosa imparerò... poi vedrò il da' farsi e lui deciderà se rispedirmi a casa oppure no.
Do' tempo al tempo.

In palestra mi diverto... sto' conoscendo gente, parlo tra una serie e l'altra di esercizi... è un luogo in cui mi sento accettata, in cui posso dare sfogo alla mia rabbia, alle preoccupazioni, cercando di migliorare la visione di me stessa, delle mie capacità e del mio corpo.
L'altro ieri un tipo assai carino si è avvicinato ed ha cominciato a chiacchierare. Sarò banale ma non credevo che uno "così" potesse rivolgere la parola a me, che mi sento tanto sfigata.
Mi ha fatto piacere ... forse, proprio male male non sono messa.

...A casa il clima è quello che è, ci vivo talmente poco che sento meno i problemi, devo ammetterlo.
Ma ci sono comunque.
Mamma ha la preoccupazione e la stanchezza stampate in faccia ed io mi sento inutile.
Aspetta ogni sera in cui mi alleno che ritorni per cenare assieme, nonostante l'ora tarda.
Mi vuole bene e io ne voglio tanto a lei.
Babbo cucina i piatti che piacciono a me ed ogni sera fa trovare tante verdure, sempre in modo diverso.

Sono banalità... ma in queste banalità ci vedo tanto Amore.
Vorrei solo trovare il coraggio per ringraziarli.


Un saluto a tutti,
Scusate se commento sempre in ritardo sui vostri blog!

Ilaria.













mercoledì 21 ottobre 2015

La vita continua

E' un periodo strano, di quelli in cui accade di tutto, che spezzano la monotonia e i pensieri ossessivi della malattia. Uno di quei momenti in cui non so' dove mi sto' dirigendo, ma sono costretta a procedere in avanti, indipendentemente dal dolore, dalle paure o dalla sfiducia. Perchè?
Perchè è arrivato il mese in cui sfoderare gli artigli e, con essi, aggrapparsi fortissimo al terreno, onde evitare di cadere giù, in fondo all'abisso. E' il giorno utile per dimostrare la forza che ho dentro, tanto nascosta e tentennante negli anni precedenti... L'attimo giusto per dare spazio alla maturità, alla consapevolezza e, perchè no, alla poca saggezza che mi ritrovo.



Ne sono successe tante, a partire dal mio nonno materno in ospedale, colpito da un ictus celebrale.
Faccio presente (per far comprendere meglio la situazione) che ho ancora tutti e quattro i nonni, tutti anziani, tra gli ottanta e i novantacinque anni. Di quattro adesso sono in tre ad essere affetti da patologie destabilizzanti, demenza senile e appunto... ictus.
La prima ad ammalarsi fu mia nonna materna, all'età di 84 anni, ictus piccoli e grandi che l'hanno resa un semi vegetale. Ad oggi si trova allettata, con un sondino nasogastrico per mangiare, il catetere e l'ossigeno ad alcune ore del giorno. Da 5 anni e mezzo.
Poi c'è stata la nonna paterna, la nonnina più amata con la quale ho trascorso gran parte della mia infanzia, che ebbe un malore dopo 15 giorni che io ero tornata a casa dal ricovero. Per lei ci sono colecisti, diabete da vent'anni e la demenza senile che avanza progressiva, riuscendo a farla smettere di camminare e attaccando parte del cervello.
Infine il nonno materno, il più anziano ma il più sveglio di tutti che, d'improvviso, si ritrova sbattuto in ospedale con ossigeno, catetere ,a mangiare cibi frullati e a bere acqua gelificata per non affogare.
Tornato a casa mia mamma ha deciso di sistemarlo in stanza assieme a nonna, in lettini diversi ovviamente, con le sbarre e il materasso ad acqua per non subire arrossamenti e pieghe.
Sembra che a tratti si disturbino tra loro (ossia quando uno dorme l'altro parla ecc..) quindi forse, se non sarà gestibile, prossimamente li divideremo.
Ci tengo però a parlarvi – per finire con questa brutta storia ed incominciarne un'altra – di una scena tanto triste quanto estremamente tenera e dolce.
“Mia mamma inizia a far contare mio nonno, per tenere la mente allenata, nonno dice un numero e nonna risponde, con quello successivo...INSIEME cominciano a contare... fino a 30.”
Vederli in un letto, impossibilitati ad abbracciarci, a toccarsi, persino a guardarsi negli occhi fa star male... ma sentire le loro voci complici mi ha fatto commuovere.

L'altra recensione negativa è la morte di un'amica e collega di mia mamma, precisamente la commercialista dell'azienda dove lei lavora. Cliente affezionata del bar dove io stessa ho lavorato, la quale ho servito molto spesso. Ricordo bene i suoi gusti: “Spremuta d'arancia o cappuccino di soia e sfoglia alla crema”.
C. è Morta di tumore al seno alla soglia dei quarant'anni.
Combattente da due, sembrava essersi ripresa dopo l'intervento, dopo aver frequentato ospedali esteri e le migliori cliniche. Lunedì era a lavoro e all'alba di venerdì ci ha salutati. Se ne va lasciando due bambini, uno di 11 anni e l'altra di nove. 


Adesso ci sono gli aspetti positivi, giunti anch'essi di soppiatto, senza preavviso.
Il primo, meno importante, è stata la vincita di due biglietti per il concerto di Eros Ramazzotti, a Firenze.Li ho vinti con RDS, partecipazione fatta durante un momento di noia mentre pedalavo sulla mia compagna fedele,la cyclette.
Incerta se andarci o no fino all'ultimo a causa dei problemi di mio nonno, alla fine ho optato per andare, assieme a mio fratello, così tanto contento ed entusiasta del “regalo” che gli ho fatto.
Siamo stati insieme come non facevamo da tanto, senza rispostacce, cattiverie varie e rancore che solitamente ci serbiamo l'uno con l'altro. Abbiamo urlato, cantato, riso, sudato nelle prime file del forum. Ci siamo abbracciati e dati la mano durante le canzoni più romantiche... è stato tutto bello, ma strano.

Eros Ramazzotti 12.10.2015 - Firenze (La foto è mia)
Altra novità... forse quella che darà atto a maggiori cambiamenti, è l'inizio di un tirocinio presso uno studio commerciale a venti minuti da casa mia.
Ero stata informata di tale opportunità un mesetto fa, da un'agenzia interinale.
Così avevo deciso di candidarmi, certa che non mi avrebbero neanche chiamato per un colloquio.
Poi la telefonata, l'inesperienza del mio curriculum in questo campo, il solo diploma di ragioniera, senza alcuna conoscenza di programmi di contabilità o metodi operativi nella pratica. 
In sostanza: “Senza speranze”.
E invece, quando era gia' scaduto il termine in cui avrei dovuto esser (eventualmente) ricontattata eccolo lì, quello squillo sorprendente e quelle parole assai educate, erudite e distante del mio futuro capo. Proprio ieri sono andata in ufficio a firmare il contratto di tirocinio e domani dovrò completare la prassi burocratica presso il centro dell'impiego per cominciare il prossimo lunedì.

Dovrei essere contenta, vero?

Eppure non lo sono, non riesco a rendermi conto di essere fortunata, di avere la possibilità di mettermi alla prova, di fare una breve esperienza, almeno per sei mesi.
Niente, nella mia testa c'è solo una marea di confusione, di paure ed emozioni esplosive.
La paura di non essere all'altezza, che non sia il lavoro adatto a me, di ingrassare clamorosamente dato che starò molto seduta dinanzi ad una scrivania... mi impauriscono le 8 ore di lavoro e sopratutto le due ore e mezzo di pausa ogni giorno, che trascorrerò sicuramente in solitudine (tornare a casa è impensabile), vagando qua e là per la città, o mangiando tristemente un'insalata, con mille pensieri ossessivi in testa. Ore utili al pranzo che io non vorrei fare, ma che vorrei utilizzare per la palestra, troppo lontana dal luogo di lavoro. Credo che l'attività fisica si sposterà al fine settimana e a due sere post lavoro. Altrimenti dovrò iscrivermi in una nuova palestra più vicina... tuttavia l'idea di lasciare varie persone e ricominciare “da capo” mi rattristisce.
Sono consapevole che tutta sta' riflessione sia una baggianata assurda, una stronzata colossale da bambina immatura ed ingrata, - come mi hanno urlato i miei (che purtroppo non riescono a capire un bel nulla delle sensazioni interiori e, anziché tendermi una mano, un abbraccio, scuotono la testa, sospirano o mi offendono con qualche misero aggettivo) ma io ieri sera ho pianto tanto, talmente tanto da provare a farmi del male e a vomitare davanti a quel cavolo di bagno. … Ma non ci sono riuscita, sono troppo inesperta e troppo egoista per sentire lo stomaco graffiare o per vedere ferite sul corpo, su quel corpo che cerco tanto di scolpire (invano ovviamente).

Adesso mi domando quanto io sia ancora malata...
E mi spaventano fortemente i periodi di grande preoccupazione come questi, in cui la ricaduta è dietro l'angolo e l'anoressia fa capolino sghignazzando e tendendomi la mano.

Tanto per risultare ancor più strana e contorta vi dico che qualche giorno fa mi sono pure fatta i capelli. Data la ricrescita che avevo direi che ce n'era estremamente bisogno.
E in aria di cambiamenti, una schiaritura diversa ci sta' bene. Color rame.

(Foto penosa, ma l'unica che sono riuscita a farmi tra un pianto e l'altro)



E con questa foto penosa vi saluto.
Un bacione a tutti, vi auguro una buona settimana.

Ilaria.



mercoledì 30 settembre 2015

"Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie"


"Si sta
come d'autunno
sugli alberi
le foglie"

- "Soldati", Ungaretti -

Una poesia semplice, breve, diretta, probabilmente troppo famosa, ma assolutamente profonda.
Di quella profondità abissale che ti colpisce dentro, attizzando le fiamme interiori, facendo vibrare ancor più forte l'animo tormentato.
Ogni autunno la ripropongo, quasi come un rituale, come se il correre delle stagioni non facesse altro che riportarmi lì... a fare il punto della situazione, rendendomi conto di essere costantemente là , in quella condizione di dolorosa immobilità, simbolo di una triste sorte gia' scritta, quella delle persone destinate a soffrire silenziosamente, mentre tutto il mondo si muove attorno.
Parlare di fato è sicuramente sbagliato, in effetti forse sarebbe meglio dire “carattere alquanto sensibile”, alcuni definirebbero tale situazione in gergo medico con il termine “malattia”, altri come mancanza di volontà, altri ancora come “periodo difficile che presto finirà”.
Non so' dare un nome alla mia condizione, sono certa che essa va ben oltre l'anoressia e la depressione, mostri che mi hanno divorato da tre anni ad oggi. E va pure al di là di un episodio sporadico,di un evento accaduto. Ne sono sicura perchè fin da piccola ricordo la malinconia che mi attanagliava lungo al petto, allo stomaco, alla testa.
Senza motivo mi sono sentita spesso triste, vuota e nella mia ingenuità credevo di avere l'influenza.

Mi sento morbosamente dentro alle parole di Ungaretti, come mi ci sentivo quindici anni fa, leggendo la poesia ad alta voce dinanzi alla maestra.

Foto scattata durante le mie passeggiate nel bosco

Mi sento la foglia destinata a morire dinanzi al prossimo soffio di vento.
Dentro quella precarietà e fatalità che egli precisamente descrive.
Piena di instabilità e con un'unica certezza, quella della morte.
Sola come quella foglia in giardino che si tiene attaccata all'albero con i denti, ma consapevole che presto dovrà mollare la presa, perchè è stanca e non più così giovane.

Tutti soffriamo nel mondo, ognuno ha i suoi tarli, i suoi segreti, le sue ferite, è vero.
E' giusto che ne abbia anch'io direte voi. Sono d'accordo.

Ma quello che mi spaventa di tutto ciò non è il dolore in sé per sé.
E' il tempo che passa mentre il dolore continua, ininterrottamente, senza mai fermarsi.
Senza aver mai capito da dove esso sia iniziato e talmente intrinseco da non mollarmi mai.

La paura di passare una vita, lunga o corta che sia, sempre con un macigno sul cuore e non trovare mai realmente la pace è una delle peggiori condanne che possano esistere, secondo me.
Perchè non è vita, è prigionia.
(… Sono stata io stessa a condannarmi?)

E vorrei andare da mia mamma, dirle che sto' finalmente bene, che la tempesta infinita è passata, che adesso sebbene sia autunno c'è il sole e ci sarà per un po' perchè ho la forza di affrontare tutto, di non accasciarmi alla prima ventata.
Vorrei dirle che sono una foglia, ma di quelle sempreverdi, dure e resistenti e che se ci sarà un temporale mi bagnerò, ma poi tornerò a splendere, come fanno gli altri attorno a me.
Vorrei vederla sorridere, anche in mezzo ai problemi di mio fratello, sorridere di gusto, dimenticando per un attimo le sfide quotidiane da combattere, contenta di non dover tener la mano ad entrambi.

Vorrei poter essere per lei un punto di riferimento e non un punto fermo.

Non esistono giorni in cui io stia davvero bene. (e' proprio questo che mi fa paura!)
Se l'ho detto è perchè fingo, al fine di non essere noiosa e ripetitiva.

Senza dubbio ci sono giorni migliori e peggiori, ma ogni volta c'è sempre qualcosa che manca, e non so' spiegarlo.Una fame interiore che non si colma con il semplice cibo, con un regalo, con un viaggio, con una frase di coraggio, con un'abbraccio delle persone care.


Un saluto a tutti!


Ilaria

Ps. per sbaglio, con il cellulare ho eliminato il post, fortunatamente (o sfortunatamente per voi) lo avevo salvato su word! Quindi lo riposto adesso.

martedì 15 settembre 2015

Immortaliamo i bei ricordi con una foto.

Ho sempre avuto un piacevole interesse per le fotografie, amo immortalare gli attimi in qualcosa di concreto, qualcosa da poter osservare nuovamente in futuro, sebbene lo si faccia attraverso un foglio di carta o su uno schermo digitale.
Amo fotografare la natura, in tutte le sue sfaccettature e sfumature, in tutti i suoi colori e la sua bellezza.
I fiori che sbocciano, il fulmine in un pomeriggio invernale, la farfalla che vola, il mare al tramonto, le colline toscane, le foglie che cadono, l'azzurro del cielo (…)

Tale interesse l'ho senza dubbio ereditato da mio padre.
Lui sì che era bravo a maneggiare le macchine professionali e a scattare dei capolavori.
Come quelle foto scattate in un campo di girasoli ed io, piccola, nel mezzo, a confondermi tra i mille colori.
Con il passare degli anni ha lasciato andare tutto, perso tra il lavoro e la famiglia, sommerso dai problemi e delle preoccupazioni.

Io non ho mai provato a far diventare tale interesse una passione, qualcosa che mi coinvolgesse più di un semplice scatto durante le vacanze o in un evento importante.
Tuttavia mi capita, sempre più spesso, di soffermarmi a guardare le meraviglie che ho attorno, i paesaggi e i panorami di fronte a me, con la voglia intrepida di “fermare” il tempo, per rivederlo successivamente.

Rivedere quell'attimo in cui mi sono lasciata andare, libera dalle prigioni mentali, dai nervi a fior di pelle, dalla rabbia e dai sensi di colpa è... terapeutico.
Un sospiro di sollievo tra lo sconforto che, aihmè, regna quotidianamente in queste quattro mura.
Tutt'ora c'è un'aria pesante, quell'atmosfera che conosco bene e che, nonostante voglia il contrario, vado ad alimentare, per abitudine.
Si vive, o meglio si sopravvive, tra le urla, i pianti ed i silenzi.
E poi ci si abbraccia, ci si sostiene non appena ci rendiamo conto di volerci un gran bene e di aver sbagliato, ancora una volta.
Ma ciò che è successo prima non si cancella, rimane un ricordo, sebbene questo sia meglio non immortalarlo. Ma rimane nel cuore e nella testa, creando terreno fertile all'insoddisfazione e alla scontentezza.
Ed è così che mi ritrovo immancabilmente e nuovamente in quel circolo scuro e freddo, simile ad un buco nero senza fine, anche solo per qualche ora.

Ecco a cosa servono le foto: a tappezzare le tetre pareti della mente con alcuni colori, con tonalità calde e vivaci. Servono a mantenere viva la speranza, ad incoraggiare colei che si è spersa per un attimo e a farla risalire delicatamente...
Ed infatti poi la luce torna a fare capolino, una penombra assai più vivibile e tiepida... e ritrovo la forza, perchè ne vale e ne varrà la pena, sempre.

I ricordi che ho voluto rappresentare materialmente (per meglio dire “digitalmente”) sono rare occasioni di uscita dalla mia solita routine protettiva.

  1. Pomeriggio al mare.
Ad inizio settimana ho deciso, dopo una mattinata di gag e pesi in palestra, di concedermi il terzo pomeriggio al mare di questa estate 2015.
L'ho voluto fare con una persona speciale, l'amico di cui ho parlato gia' una volta sul blog, l'unica persona rimasta sempre affianco a me, in tutto il dolore e il pessimismo.
Egli adesso vive in America, in North Carolina, ha avuto un avanzamento di carriera nella sua azienda trasferendosi oltre oceano. Ed io sono fiera di lui, completamente.
Dato che è tornato per due settimane, ed era da Novembre scorso che non lo vedevo (colpa mia poichè quando era in Italia non ho voluto... stavo troppo male) abbiamo deciso di trascorrere del tempo insieme.
Siamo stati al mare qui vicino, a circa una mezz'oretta da casa, spiaggia libera, giornata variabile con il sole che faceva capolino spesso da quelle grande nuvole bianche e grigie all'orizzonte.
Un venticello faceva ondeggiare il mare rumorosamente, impedendo il bagno a molti e facendo fischiare spesso il bagnino per chi si allontanava troppo dalla riva.
Abbiamo giocato a racchette come facevamo anni fa, (quasi) veloci e scattanti come un tempo, con la voglia di “vincere” e di dare il meglio. Mi sono sentita abbastanza energica, sensazione positiva.

Il tramonto di quella sera, al mare.


  1. All'avventura
Mercoledì mi sono concessa l'altra giornata di “riposo”, sempre con il mio amico, siamo andati in montagna, sugli appennini tosco-emiliani.
La prima tappa è stata il ponte sospeso, una camminata di circa 200 metri ad una quarantina di metri di altezza, in mezzo al verde dei boschi montanari.
Le sensazioni magiche di serenità, di rilassatezza mi sono pervase mentre correvo sul ponte, senza paure, senza tormenti, gli occhi lucidi e brillanti simili a quelli di una bambina mentre scarta il suo regalo tanto desiderato.

Io mentre percorro il ponte

Dopo siamo andati più in alto, ci siamo diretti – senza sapere la strada e con il navigatore che non ne azzeccava una – verso un lago.
Abbiamo camminato un po', strade in salita, non asfaltate, in mezzo al verde e al silenzio, senza mai trovare il lago, seduti in cima ad un precipizio ad ammirare l'immenso panorama.
Ho addirittura pranzato con un piatto di tagliolini ai funghi porcini e pinoli, senza sentirmi assolutamente in colpa. Incredibile.

  1. Serata con mamma
Questa è stata la serata che più desideravo da tutta l'estate, costruendo mentalmente ore di felicità assoluta.
Nella realtà non è andata come immaginavo e come speravo, ma posso comunque esserne abbastanza contenta, tutto sommato.
Ho portato mamma a fare un apericena in un locale di mare molto amato (forse perchè quasi l'unico in quella zona!), a circa 40 km da casa mia.
Un posto tranquillo, ma chic, curato nei dettagli, ristrutturato quest'anno, ma che ricordavo migliore.
Ci sono stati cambiamenti in questi anni – è dal 2013 che non ci mettevo piede! - secondo me in negativo, tant'è che mi è risultato un po' noioso a livello di intrattenimento, sopratutto per la musica non coinvolgente.
Abbiamo anche fatto un giro lungomare, nonostante l'aria fresca e i vestiti leggeri, prendendoci poi un cappuccino caldo per riscaldarci un po'.
Mi ha fatto piacere stare con lei, ne avevo bisogno, ma il mio sbaglio è stato quello di credere di non portarmi dietro i problemi di casa, il rancore dei giorni precedenti, le urla quotidiane e l'ansia generale. Il mio pensiero, si è rivelato un grande flop, qualcosa impossibile da realizzare, perlomeno adesso.

Io e mamma in lontananza (foto scattata a tradimento dal fotografo)

Ed ora? …

Ora la monotonia è ripartita più veloce che mai, la casa è vuota, Marco comincia proprio oggi le scuole superiori, i miei sono a lavoro, il mio amico partirà questa notte.
Sono di nuovo sola, in compagnia dei dubbi e delle insicurezze.
Mamma ieri sera mi ha detto che devo consegnare il curriculum in giro, fare dei corsi di lingua per migliorarlo, oppure ricominciare a studiare tranquillamente e senza “foga”. (peccato però che io e la tranquillità viviamo in universi diversi, paralleli, ma destinati a non incontrarsi MAI)
Dovrei decidermi, fare un passo avanti, fare... qualcosa.
Eppure non riesco a smuovermi, a razionalizzare, a prendere coraggio.


Ho solo paura...
Di fallire, ancora una volta.

Un bacio a tutti, Ilaria.


lunedì 31 agosto 2015

Ho voglia di...

Scrivo perchè è da molto che non lo faccio, da un po' che ne ho bisogno, cerco disperatamente le parole giuste, l'ispirazione adatta. Forse non c'è un momento perfetto, forse il momento perfetto per scrivere è semplicemente quello in cui ti assale la voglia di farlo.

In questi venticinque giorni ho avuto un umore assai altalenante. Tentennavo tra l'essere malinconica e annoiata, all'essere tranquilla, fino alle ore di rabbia acuta e nervosismo alle stelle.
Ci sono stati giorni immersi nel pianto, dove le lacrime mi rigavano il viso fino a metà pomeriggio. Poi mi preparavo per recarmi al lavoro, una bella doccia calda nonostante l'afa fuori, un poco di blush per nascondere il viso bianco fantasma, un sorriso un po' costretto ed ero pronta, come se non fosse accaduto niente, come se il dolore del mattino fosse scomparso.

Sono stati giorni strani e di riflessione.
Ho affrontato la paura di rimanere sola a casa (con la mia cagnolina) per 8 giorni, senza la mia famiglia, senza un amico a cui appoggiarsi. Sapevo sarebbero stati tosti, ma pensavo peggio.
Credevo che l'ansia e la solitudine mi avrebbero ucciso, facendomi delirare per chissà quanto.
E invece nel mio girovagare per casa a fare faccende, un po' di cyclette, di passeggiate, di creatività (e il lavoro, ovviamente) direi che l'ho affrontata bene.
Mi sono sentita meno fragile, più forte del tempo addietro.
E questa forza la tengo stretta ancora adesso, è tanto preziosa e bella che non posso lasciarmela scappare.

Ho riflettuto tanto sul tema dell'alimentazione, sui miei comportamenti, sulle ossessioni aimè ancora presenti nella mia testolina, sul peso reale che mi ritrovo, sulla immagine che ho e che credo di avere, sui progressi evidenti (e non) che ci sono stati, sulla mia consapevolezza di tutto ciò.
Questo periodo ho avuto una relazione particolare con il cibo, sopratutto gli orari molto sballati a causa del lavoro.
Mi ritrovavo a cenare dalle 23 in poi, a volte pure a mezzanotte e mezza. Magari con un piatto di pasta, l'apice dell'odio e delle calorie, secondo me. Mi sono ritrovata a mangiare un po' di pane e verdure a pranzo per molti giorni per la paura di ingrassare...
Ho “sgarrato” il mio programma alimentare spesso, non che abbia introdotto centinaia di calorie in più, ho semplicemente mangiato meno sano e male.
Non nego che il mio stomaco ne ha risentito, tra bruciori, gonfiori e problemi intestinali frequenti, ma non ho mai ristretto come prima, mai sono riuscita a farlo, nemmeno a volerlo. Pochi sensi di colpa.
E questo lo trovo positivo.
Adesso devo solo impegnarmi – ma sono sicura che riesco– a riprendere il mio programma nutrizionale giusto, le mie 2000 kcal sane, proporzionate, in orari normali e abbinate all'attività fisica.
Ho sempre la necessità di muovermi, è vero. Ma si è affievolita decisamente con il passare del tempo.
Quando vado in palestra sento la forza nelle braccia, nelle gambe che prima non avevo.
Ho potenza che altri accanto a me non hanno, e ne vado fiera.
Mentre faccio qualche peso guardo la mia immagine riflessa allo specchio e vedo banalmente una ragazza sudata, con poco muscolo, ma con gli occhi soddisfatti. Non focalizzo sulla carne, sulle ossa che non sporgono più. Provo a non guardarmi la pancia, le cosce, provo a vederle oggettivamente, a non ingigantirle.
Sento che qualcosa sta' cambiando, non so' come, non so' quando né perchè, ma lo sento.
E' energia buona quella che assaporo...




Ho terminato ufficialmente il lavoro ieri sera.
Adesso sono “libera”, posso godermi qualche serata di nulla facenza, vedere le lucciole fuori, fare una passeggiatina in centro, fare un aperitivo, guardare il tramonto sul mare, farmi un giro nel bosco nel tardo pomeriggio.
E' vero, ho concluso senza una prospettiva futura, non c'è un nuovo contratto imminente, un'assunzione, un impegno. Però ho lavorato duramente e sento la necessità di riposarmi, senza preoccuparmi troppo di ciò che sarà tra due/tre settimane.
A dir la verità un'offerta lavorativa mi era stata proposta, ma orari spezzati e distanza mi fanno perdere molto tempo e offrono poco guadagno. E sopratutto non avrei avuto possibilità di riposarmi adesso, impossibile da reggere.


Dato che è stato un periodo di acuta riflessione, vi racconto la più importante.
Ho rimuginato tanto su una domanda che mi si era infilata nel cervello mentre guardavo una sciocca pubblicità su youtube.

Qual è il tuo obiettivo?” 

Una richiesta che mi ha messo in crisi per giorni, alla ricerca della fantomatica e giusta risposta.
A primo impatto me ne è venuta una, la più scontata che ci potesse essere: “ Trovare un lavoro”.
Sono bastati pochi minuti per togliermela dalla testa, arrivare alla risposta più penosa e malata: “Dimagrire”.
A quel punto – vergognata di me stessa - ho deciso di lasciarmi del tempo per pensare, cercando di scavare a fondo, forse così avrei potuto ottenere qualcosa di più soddisfacente.

...“Cosa voglio davvero?”...

Alla fine quello che ne è venuto fuori non è stato niente di grandioso, di eroico o di estremo, piuttosto qualcosa di banale e scontato, forse.
Scontato sicuramente per gli altri, ma non per me.
Non per me e l'odio che mi logorava.

Ho risposto così: “Stare bene”.

Ho voglia di stare bene.
Dentro e fuori.
Di sentirmi libera da tutte le catene mentali di questi anni, di assaporarmi le piccole cose ritenendole grandi conquiste, di camminare per strada a testa alta senza vergogna.
Di sentirmi bella con un abito addosso, di uscire fino a tardi, di abbracciare mia mamma senza timore, di mangiare qualcosa senza sentirmi in colpa, di parlare con un ragazzo senza sentirmi brutta e goffa, di godermi una giornata di relax, di lasciarmi andare...

Ho tanta voglia di semplicità, quella che mi ero negata, che credevo non contasse, ma che adesso desidero più di ogni accessorio, di ogni banconota, di ogni regalo.
Il mio bisogno di star bene mi fa osservare il mondo da una prospettiva diversa,o meglio dire, mi fa guardare tutto in grande, una sorta di panoramica a 360 gradi, evitando di farmi focalizzare soltanto su alcuni aspetti, sulle negatività e le paure.
Perciò ho deciso di rinnovare questo mio piccolo spazio virtuale. Non cancellarlo, ma di usarlo in maniera diversa.
Parlerò sempre di me, delle insicurezze, della mia vita, senza però ricorrere troppo nel solito tema. (salvo poi ricaderci clamorosamente!)
Ho voglia di nuovi contatti, di nuove persone che mi distraggono da quei pensieri ormai noiosi, monotoni e deleteri.

Commenterò ancora tutte voi, (sperando di non risultare, come accaduto settimane fa, superficiale, cattiva, sciocca perchè non è mai stato nelle mie intenzioni e mai lo sarà.) cercando di dare suggerimenti e di trovare al contrario consigli per me stessa. In fondo non sono fuori da questo mondo.

Ma ho pure voglia di evadere, di ampliare i miei pensieri, di leggere qualcosa di nuovo e, magari, di più positivo.


Un abbraccio a voi,

Ilaria.








mercoledì 5 agosto 2015

"Polemica"

Ne parlo oggi e probabilmente sarà la prima e l'ultima volta in cui lo faccio.

Ho sempre - volutamente - parlato dei DCA (disturbi comportamento alimentare per chi non lo sapesse) nell'ambito fondamentale per me, quello interiore. Quello composto da una miriade di sensazioni negative, il nervosismo, l'ansia, la solitudine, la tristezza, l'apatia, la noia, i sensi di colpa, la leggerezza e le illusioni.
Ho sempre osservato l'anoressia (sugli altri disturbi possono dire relativamente poco, se non quello che leggo non avendoli mai vissuti, preciso inoltre che ho conosciuto “soltanto” l'anoressia nervosa restrittiva) come una problematica esistenziale.
Amo infatti definirla con un'espressione un po' forte: “Cancro dell'anima”.
Ad alcuni tale frase pare troppo forte e irrispettosa verso altri tipi di malattie, ma non si vuol paragonare nessuna patologia ad altre, credo piuttosto che si vada ad evidenziare bene il concetto di sofferenza interiore, ad di là di un corpo fortemente magro o troppo grasso a cui ci si trova davanti.

Trovo altamente superficiale, sbagliato, bigotto parlare dei DCA soltanto attraverso foto, peso e taglie. E' l'atteggiamento tipico della società odierna, quella per la quale se sei anoressica è perchè volevi somigliare alle modelle taglia 36/38.

Eppure, dopotutto questo discorso, voglio comunque soffermarmi un po' sull'estetica, sul peso, sui kg.
Entriamo nell'argomento più "stupido", forse, della malattia, quello per cui me ne vergogno.
Perchè sì, mi vergogno di contare le calorie che ingurgito, di mangiare normalmente e non vedere l'ora di bruciarle. Come mi vergogno di pesarmi tutte le mattine, dopo un gelato, dopo l'attività fisica, di guardare l'etichetta dei prodotti confezionati, di sfregarmi la pancia e le cosce in preda al panico dopo aver visto un numero più alto sulla (dannata) bilancia.
Provo vergogna quando guardo una ragazza parecchio in carne passarmi accanto e provare paura di diventare come lei.
Lo trovo terribilmente sciocco, immaturo, banale, insensato, schifoso.
Eppure lo faccio. Quotidianamente.

E mi sento ancor più stupida se penso di essere caduta (e intrappolata) in questa rete infernale, troppo intrecciata da non riuscire a slegarla.
Guardandomi allo specchio provo sensazioni differenti, a seconda del momento.
Quella del disgusto a seguito di una cena abbondante, o quella estrema, di completa pietà, mentre guardo le ossa non sporgere più come prima e me ne rattristo.
Mi domando per quale motivo sento l'esigenza di essere magra, di avere la pancia piatta, le gambe snelle e le ossa che spuntano.
Che sia solo il frutto di una immensa insicurezza e scarsissima autostima per me stessa? La ricerca di una accettazione? Non credo.
A dir la verità spero ci sia molto di più.

Poi faccio la cyclette, vado in palestra, cammino, studio/lavoro, sbrigo faccende.
A volte tutto in una sola giornata, pensate che “fenomeno”. (ovviamente sono ironica nella tragedia)
Prima facevo tutto campando quasi ad aria. 
Minestra (senza pasta), anguria, verdure e uno yogurt la mattina. 
In alcuni casi mi concedevo una fetta di pane.
Adesso mangio, circa 2000 calorie al giorno, seguo spesso la dieta, ma mi muovo comunque come una atleta olimpionica.
Mangio per bruciare, non per gustarmi i cibi, non per stare allegramente con la gente, non per stare in salute. Mangio perchè tanto poi mi muoverò.

Che esistenza misera, vero? …

E mentre faccio la cyclette, in questo caldo pomeriggio del 5 Agosto 2015, mi ritrovo davanti le ennesime foto postate sui social network di magre. “Magre da far paura”, come molti esclamano.
Fashion blogger famose, non faccio nomi, ma tutti voi (o quasi!) le riconosceranno in foto.
Mi capitano sott'occhio pure i migliaia di commenti del popolo della rete, sempre più paragonabile ad un branco di pecore incattivite o con i prosciutti sugli occhi.
Leggo le decine di offese alternate alle altrettante lodi verso tali ragazze...
Frasi forti, maleducate e superficiali, del tipo: “Mangiati un panino”, “Bella... anoressica, “Fai paura, fai senso!”, “Vatti a curare”, “Sei una malata..”, magicamente intervallate da elogi tipici delle divinità: “Sei meravigliosa”, “Hai un fisico da urlo”, “Stai proprio bene, vorrei essere come te”.
, “Sei un esempio da seguire”, “Sei perfetta”.

E mi chiedo come possa succedere tutto questo.

Mi chiedo come possano esserci persone talmente cieche da non vedere che quello non è un modello da seguire. Che quello non è da imitare, tanto meno da considerare perfetto.
E non sono solo dodicenni incallite a crederlo, ma persone adulte, donne e uomini.
Mi chiedo anche come possano esserci persone tanto maleducate da pubblicare centinaia di offese, brutte espressioni gratuitamente, senza conoscere il soggetto in questione.
Tutti a scagliare la pietra contro “la peccatrice”, contro chi può (può perchè chi può dirlo con certezza? Io no sicuramente.) avere il peccato di essere malata e di non rendersene conto, tutti bravi, perfetti, sani... beati loro.


Mi domando come si possa arrivare a sponsorizzare certe tipologie di fisico (non solo magre, anche quelle taglie forti, troppo forti se ci atteniamo al normopeso), a fare business su questo e a non rendersi conto di sbagliare, di mandare messaggi completamente errati, di fare finta di niente, pensando solo al lucro, alla popolarità e condivisione che ne escono fuori.

E non è questione di “farsi condizionare” (c'è chi è tranquillo con sé stesso e se ne frega di avere una taglia 38, ok), è proprio questione di vivere all'interno di una società malata



Una società che ti opprime con i suoi modelli di perfezione da seguire fin dalla nascita, e lo fa ovunque, tv, internet, cartelloni pubblicitari.
Quella perfezione fisica che ti uccide ogni giorno di più, omologandoti e facendoti credere che se sei bella/o puoi fare tutto. Che ti meriti tutto, che avrai gli occhi puntati addosso, troverai l'uomo/la donna della tua vita, avrete figli, sarete la famiglia del mulino bianco e sarai sempre felice, a giro per il mondo, con il perizoma sulle spiagge dei Caraibi, a far serata a Ibiza e con il trucco impeccabile anche mentre dormi.

Più guardo queste ragazze e più ho la tristezza addosso.
La tristezza per ciò che stanno diventando, con o senza un DCA.
(a guardarle bene, se le foto non sono modificate, effettivamente mi ci rivedo... rivedo la me stessa durante il sottopeso grave di un anno fa, quella dei 43 kg per 173 cm, con le gambe a “stecchino”, la faccia ristretta e le ossa in fuori. Ovviamente non avevo le tette rifatte, quelle erano quasi scomparse, ma questi son dettagli)

Troppe persone schiave di un sistema illusorio, falso e meschino a cui è sempre più difficile scappare o rimanere indifferenti.


Accetto ogni vostra critica alla mia polemica, non volevo offendere nessuno, tanto meno chi è affetto da DCA. 

Ciao a tutti,
Ilaria.



mercoledì 22 luglio 2015

Sento...

La connessione Internet ha smesso di funzionare, ancora una volta.
Devo rassegnarmi all'idea di guardare la mail e mettermi a scrivere.
Avrei voluto aggiornarvi da un po', ma i pensieri erano (sono) molto confusi.
Sono giorni in cui mi capita di aver voglia di dire mille cose, di urlare tutto e poi... rimango in silenzio, quel silenzio misterioso, riflessivo, un po' falso, triste.
Se vi dovessi rispondere sinceramente alla classica domanda: “Come stai?” vi giuro che andrei nel pallone completo.

Troppo complicato spiegarlo, troppe sensazioni discordanti, troppo caos.

Mi sento un'anima in pena.
Una di quelle che viaggiano senza soste, senza una meta.
E vi prego, non ditemi che presto troverò la strada.
Non ci sono strade che mi diano realmente conforto.
Non c'è via che mi appaghi e mi soddisfi.

...Sento le decine di mancanze che mi scivolano addosso, senza mai riuscire ad acchiapparne una.
Sento la paura di ingrassare, di non controllare più la fame, di ricadere nella merda di una volta.
Sento gli uccellini cantare beati fra gli alberi attorno a casa mia e per un attimo faccio penetrare quel lieve e dolce suono in quest'anima troppo cruda e sola.



(il "paradiso" vicino casa mia, foto fatta da me)

Sento il fruscio del venticello fresco d'estate nel mezzo a quello che io chiamo "Paradiso", quel momento di pienezza, di meravigliosa estraniazione dall'inferno giornaliero. Un brivido di serenità, l'unico.

Sento il silenzio delle mura di casa mentre tutti sono via, a lavoro, al mare, a fare la spesa, quell'assenza di rumore così angosciante... quasi tragica. Sembra la morte.
Sento lo stomaco bruciare dopo aver mangiato quello che ingurgitano i comuni mortali e odio me stessa per non averlo lasciato vuoto.
Sento le gocce di sudore su questo (odioso) corpo mentre sono in palestra a fare gli esercizi, quel caldo allucinante ancora un po' strano rispetto al freddo, alle mani ghiacciate di una volta. Un po' mi mancano. E' paradossale.
Sento la fatica dopo una giornata senza freni, fatta di attività fisica, di faccende e di lavoro. Ma non sento la soddisfazione per ciò che ho fatto.
Sento il lontano rumore delle onde del mare, di quei pochi giorni in cui ci sono andata.. Il sole che mi illuminava, un attimo di spensieratezza, di luce.
Sento le risate, i discorsi futili delle persone attorno a me... i clienti, i colleghi, gli istruttori e provo un senso di disgusto misto ad invidia. Vorrei saperlo fare anche io, vorrei farlo davvero, senza una maschera addosso.
Sento i miei genitori che parlano di notte, sono preoccupati per me, per la mia solitudine, la mia stanchezza, la mia scontentezza... Vorrei abbracciarli. Dire loro che non hanno colpe, che la sofferenza che provo non so' neanch'io da dove proviene.
Sento mia mamma vicina come non mai, di quella vicinanza affettuosa, rincuorante. Una mamma che cerca di nuovo di essere tale e che, allo stesso tempo, prova a sostituirsi alla figure mancanti: diventa un po' un'amica, una consigliera, una nonna, una sorella. E io dovrei ringraziarla donandole un sorriso, uno sprazzo di felicità in tutto questo schifo. Dovrei mentirle e dirle che sto' bene, dirle che ho risolto quasi tutto, che mi vedo magra e bella, sicura, soddisfatta. Perchè se lo meriterebbe. Si meriterebbe di essere un po' serena, di sentirsi una brava madre.
E invece le urlo, le confesso lo schifo che provo mentre mi guardo allo specchio, la tristezza di starmene sempre sola, i mancati inviti altrui, il lavoro frenetico e troppo pesante per la mia situazione.
Sento mio padre stanco, con il dolore alla gamba che non passa, i suoi lamenti e i suoi silenzi, ai suoi mentali allontanamenti quotidiani dal (brutto) mondo che lo circonda. Dovrei abbracciarlo, dovrei ringraziarlo per ciò che mi ha comprato.
Le infradito nuove, il braccialetto, i biscotti ed il formaggio che mi piacciono.
Ma niente, tiro su la testa - come per guardare Dio - in preda al panico di fronte a quel cibo che mangerò, credendo per un attimo che stia cercando di farmi ingrassare come un tacchino, settimane prima del ringraziamento.
Non c'è un “grazie babbo”, ma un viso incattivito, un ghigno improvviso e illogico.
Un attimo di odio per passare poi, nel giro di 5 dannati minuti, al pentimento, ai sensi di colpa che lacerano tutto, stomaco, cervello, cuore.



Sento le lacrime improvvise che mi rigano il volto, il broncio sul viso e intanto il vuoto torna sempre più prepotentemente, forte e furioso come un uragano fino a disperdersi nuovamente nell'aria...


Un saluto a tutti!!!

Ilaria